Perché un film sulla parità?


Di Dani Noris



 

Il 1999 ci ha visti impegnati con una campagna formativa-informativa, sul tema della parità nella vita professionale, realizzata attraverso trasmissioni televisive e radiofoniche, con la presenza a Primexpo, la realizzazione di una mostra dal titolo “DONNE RITRATTI DI STORIA”, (presentata in alcune scuole) e con la pubblicazione di articoli, interviste e testimonianze sia sulle pagine di questa testata, sia su quotidiani sia su settimanali vari.

 

Per portare frutti sulla distanza, un lavoro come quello iniziato nel 1999 con il progetto SIGRID UNDSET, deve essere continuato su tempi lunghi. Questa considerazione di carattere generale ci è parsa una sorta di imperativo morale per tre motivi principali:

Il primo è contenuto nei dati più che lusinghieri ottenuti dal sondaggio effettuato per la valutazione e in particolare il grado di penetrazione del 7% pari a 18.353 persone raggiunte dal progetto nel suo primo anno.

Il secondo è l’indicazione esplicita emersa dalla ricerca del CIRM, (Centro Internazionale Ricerche di Mercato, al quale abbiamo affidato l’analisi dell’impatto del progetto sulla popolazione ticinese) nella quale diverse domande del questionario utilizzato dal sondaggio vertevano sulle prospettive e gli accenti da porre in un eventuale futuro proseguimento del lavoro.

La terza ragione è la valutazione interna sulla possibilità di usare questa nostra risorsa particolare che coniuga la specificità di Caritas Ticino, cioè un know-how relativo alla condizione della donna, acquisito grazie alla presenza sul terreno dei nostri servizi, con l’opportunità di fare informazione senza intermediari, gestendo direttamente la produzione televisiva e disponendo di uno spazio ampio di messa in onda su TeleTicino.

 

Nella prima fase del progetto ci si è resi conto che, benché ci sia la percezione della disparità a livello professionale fra donne e uomini, emerge il dato poco confortante che le istanze presentate all’Ufficio di conciliazione sono pochissime. Evidentemente le disparità ci sono ma non sono abbastanza combattute.

Crediamo che le ragioni di questo quadro siano dovute in buona parte al peso di una mentalità tutto sommato fatalista che considera le disparità come inevitabili. A questo si aggiunge la cattiva informazione su cosa effettivamente potrebbe essere fatto per modificare la situazione attuale, con quali strumenti e con quale efficacia.

Il lavoro da fare è quindi duplice, modificare la mentalità e dare più informazioni. Il film “AL SIGRID UNDSET CLUB” è stato pensato come strumento per far emergere che:

- Le disparità avvengono nella normalità di una vita professionale senza clamori.

- Reagire è doveroso e possibile.

- La legge può essere utilizzata per migliorare situazioni che sono vere discriminazioni anche se si presentano come l’espressione di normali “disfunzioni” accettabili.

 

 

Un lavoro di rete, un comitato promotore

 

Per raggiungere gli obiettivi del progetto e comunicare con un ampio pubblico ci è parso fondamentale un lavoro di rete. Per questo abbiamo chiesto la collaborazione a diverse persone attive in più ambiti e costituito un Comitato promotore del progetto.

Il primo lavoro comune svolto con questo Comitato è stato fatto sulla stesura iniziale del copertine/copione con la narrazione delle quattro storie che compongono il film. I contributi del Comitato sono stati preziosi in quanto provenivano da persone impegnate in settori diversi che possono dare un ampio respiro al nostro progetto. Le loro osservazioni, correzioni e suggerimenti sono stati introdotti nella sceneggiatura.

Nei primi mesi del 2002 con il Comitato si preparerà la promozione del film, verranno pianificati i seminari di formazione e le giornate di sensibilizzazione.  Ma di questo vi parleremo prossimamente.

 

 

Comitato promotore del film

Sigrid Undset Club realizzato da Caritas Ticino

 

Roby Noris, direttore di Caritas Ticino

Dani Noris, responsabile del Progetto Sigrid Undset

Tatiana Pellegri-Bellicini, operatrice di Caritas Ticino

Renata Dozio, direttrice Soccorso Operaio Svizzero

Marilena Fontaine, consulente per la condizione femminile del Canton Ticino

Sabrina Guidotti, sociologa, responsabile progetto ProEFFEticino

Mimi Lepori-Bonetti, responsabile CONSONO (Consulenza Sociale non profit), presidente commissione GENDER della SUPSI (Scuola Universitaria Professionale)

Filippo Lombardi, direttore di TeleTicino

Liliana Pezzoli - consulente Consultorio Donna e Lavoro

Renata Raggi-Scala - presidente Federazione Società femminili

Meinrado Robbiani, segretario generale del sindacato OCST

Anita Testa - ricercatrice in ambito psico-sociale

 

 

 

TESTIMONIANZE DI CHI HA PARTECIPATO AL FILM

 

Inizialmente Sigrid Undset era per me unicamente una parola strana, un nome difficile da ricordare che aveva a che fare con un film che alcuni miei conoscenti erano in procinto di girare.

Mi sono ritrovato in questo progetto un po’ per caso; al principio dovevo unicamente recitare in alcune scene, ma dopo poco tempo, mi è stata offerta la possibilità di partecipare attivamente anche “dietro le quinte”, aiutando ad allestire il pre-riprese. Ben poco tempo mi è bastato per rendermi conto di quanto lavoro ci sia dietro un progetto del genere, indipendentemente dalla rilevanza (in termini di grandezza) del progetto stesso. Mai avrei pensato che una scena di due minuti potesse prendere una giornata di lavoro, eppure è stato così, ma la soddisfazione di vedere su schermo ciò che si aveva in testa penso sia qualcosa di eccezionale.

Oltre all’indubbia acquisizione dei cosiddetti “trucchi del mestiere”, personalmente le riprese mi hanno aperto gli occhi su problemi di cui troppo spesso si ignora, o si finge di ignorarne l’esistenza, dimostrando che quasi un secolo fa, le idee di Sigrid Undset erano più di semplici parole su di un libro di una scrittrice dal nome bizzarro. Olmo Giovannini

 

 

Smetto in questo momento di scrivere una parte del mio lavoro di maturità su Blade Runner per scrivere questo piccolo racconto sul lavoro di quest’estate. Dal grande cinema hollywoodiano al piccolo cinema di via Merlecco, due mondi che sotto molti aspetti stanno agli estremi opposti, ma con il medesimo scopertine/copo di fornire una videocassetta che, a piacere, finisca nella nostra videoteca casalinga.

Il mio lavoro mi ha visto in più ruoli: ho aiutato la troupe dello staff, ho suonato con mio fratello Basilio in alcune serate al club e sono, ancora adesso, il cosiddetto “addetto agli effetti speciali”, cosa che mi fa sorridere, perché il capitoletto che stavo finendo di scrivere su Blade Runner tratta gli eccezionali effetti speciali utilizzati nella produzione di tale opera. Lavorare nella troupe è stata forse la parte più faticosa e divertente. Era continua l’alternanza fra lunghi momenti di pausa e brevi istanti in cui si doveva essere attivi al 200%. Gli elementi della troupe li conoscevo già quasi tutti e mi ci sono trovato insieme molto bene. Naturalmente, data la situazione, si doveva avere un occhio attento ad alcune cose, per evitare di essere fucilato dai compagni di lavoro, stanchi morti e magari un po’ stressati. Il momento più interessante, da “omino dello staff”, è stata una mattinata per le strade di Lugano nel baule aperto di un’auto a “fare il fuoco” (cioè a variare la focale della videocamera) con mio padre al fianco che filmava il famoso tryke alle nostre spalle. Un momento che ricordo con piacere è stata una mattinata sul piazzale di un garage dove avevamo appena finito di montare il braccio della telecamera ed è cominciata una bufera, con pioggia e vento a non finire e noi sotto l’acqua a salvare il materiale. Dopo tutto il caldo di quelle giornate un po’ di pioggia è stata benefica. Mi sono divertito da matti, gli altri un po’ meno.

Le serate da musicista sono state sicuramente più tranquille, ma diciamo che non le rifarei volentieri. Suonavo una Gibson Les Paul, una bomba di chitarra, che ha come unico difetto il fatto di pesare come un carro armato, con conseguenze disastrose per le spalle. Abbiamo suonato pezzi praticamente improvvisati e molto semplici, ma non potevamo fare di più per una questione di tempo. Tra l’altro nel film compariranno pure due altri suonatori di chitarra, amici di mio fratello. Uno dei due, Patrick, è veramente un mago di questo strumento, con una velocità e precisione da raccogliere la mascella finita la performance. Stupore e ammirazione e un po’ d’invidia nei sui confronti sono ciò che mi rimane della sua breve visita, oltre naturalmente ai suoi pezzi filmati, che ho intenzione di procurarmi come collezione. Arriviamo alla parte più creativa del mio lavoro: gli effetti speciali. Da qualche anno, con l’aiuto di mio fratello (sempre lui) lavoro con un programma per grafica 3D. Per il film il mio compito è stato (ed è) la creazione di due sogni di due delle protagoniste. Come lavoro è bellissimo: c’è spazio per fantasia e inventiva, e soprattutto per l’apprendimento. Diciamo che sto imparando lavorando. Fare grafica 3D in sé non è molto complicato, ma richiede pazienza, tempo, e mezzi adeguati. Poter lavorare di fantasia è un incentivo potentissimo e per questo motivo mi ritengo fortunato. Andrò avanti a lavorare fino alla fine della produzione del film, lavorando quanto posso (ogni tanto devo pensare a passare la classe). La qualità richiesta per il risultato finale è davvero alta per le capacità che ho, ma probabilmente con impegno e tanto lavoro ci si arriverà. Sono fiducioso nel fatto che questa sia un’opportunità molto buona per il mio hobby da grafico.

Per quello che mi riguarda dunque, il lavoro in questo film ha più facce, e posso concludere dicendo che è stata una bella esperienza, e non bella perché sono sulla rivista di Caritas e devo dire così, ma perché davvero ne è valsa la pena. Ora guardo a gennaio 2002 e a come verrà il film. Let’s work! Gioacchino Noris

 

 

Non avevo pensato che un giorno avrei partecipato alle riprese di un film come comparsa, ma soprattutto non potevo immaginare come questo piccolo impegno avrebbe potuto cambiare il mio modo di vedere i film. Nessuno mi aveva mai spiegato in dettaglio il lavoroimmenso che può esserci dietro ogni singola scena o insospettabile particolare, quindi ho imparato di persona come invece il passare del tempo non è compatibile con le riprese e soprattutto come alcuni particolari, tipo un paio di pantaloni giallo senape, possa complicare la lavorazione. Non poter più tagliare i capelli o dover prestare parecchia attenzione a non abbronzarmi, se nella scena precedente avevo un pallore cadaverico perché tornato da una notte in treno, era qualcosa di insospettabile per me e non pensavo neppure che l’idea di indossare i pantaloni suddetti nella prima scena avrebbe poi costretto Dani a compiere mirabolanti alterazioni cromatiche su indumenti familiari. Ora, quando vedo un film, mi faccio mille domande sull’attore, quante volte lo avranno pettinato per farlo sembrare uguale, non sarà mai andato al mare per tutto il film o anche cosa sarebbe successo se si rompeva un braccio. Insomma non riesco più a godermi tranquillamente nessuna proiezione! Ovviamente non è vero, invece è stata un’esperienza molto simpatica e mi ha reso felice prenderne parte. Giulio Toscani

 

 

Una piccola parte in un film? Perché no! Prendo il calendario. Allora, avrei un esame da sostenere, le figlie da aiutare negli ultimi giorni di scuola, un ritiro per le famiglie da organizzare. La data? Proprio pochi giorni prima di partire. No, questo non è possibile: le valigie da preparare,una tesi da scrivere. Il mio ruolo? Un’imprenditrice insensibile, che non vuole assumere una donna, perché ha dei figli. Dovrei anche andare dal parrucchiere, allora.

Non c’è molto tempo per decidere. Un’esperienza nuova è sempre una tentazione, e poi sono curiosa! Non mi perderei per nulla al mondo questa occasione. Va bene, non so come farò, ma accetto. Però non ho mai recitato. Mi dicono che non è importante, devo essere me stessa. Una parola! Io sono una donna, che ha dei figli, e che desidera riprendere a lavorare dopo dieci anni di “pausa”: chissà quante volte mi sentirò rispondere che se non avessi dei figli, sarebbe meglio. A pochi giorni dalle riprese, mi fanno sapere, che per una serie di inconvenienti, non potrò più interpretare la parte della manager. Ma, se avessi tempo per una particina, non sarebbe male. OK!, vada per un altro ruolo, forse più adatto ad una “neo-disoccupata”.

Arriva il giorno tanto atteso, dopo una vacanza durante la quale ho discusso una tesi, ho tentato di sentirmi in vacanza, ho accolto nella famiglia un gattino randagio (non senza averlo portato dal veterinario, alla USL per avere il certificato per l’espatrio, e poi la gabbia, il cibo, la cassetta, la sabbia, i giochini.. sì c’è tutto), ma soprattutto ho scopertine/coperto che una professione ce l’ho: sono una imprenditrice famigliare. Cambia tutta la prospettiva,quando la vedi così.

Arriva “il giorno delle riprese”. E’ bello, però, ritrovarsi assieme ad altre persone, tutte protese in avanti, alla ricerca del vestito migliore, dell’inquadratura migliore, dell’insieme migliore. Passano le ore per pochi istanti di ripresa, e intanto vedi gli altri che stanno preparando tutto affinchéio possa dire lamia frase.Mi sento utile, anche se nessuno mi noterà: ma per un breve momento ho un mio posto. Tutto ciò mi fa sentire proprio una brava imprenditrice famigliare. Silvana Balbo

 

 

La proposta di interpretare il ruolo di Esther, la cameriera che assieme ad altri, ha aperto il “Sigrid Undset Club” un locale che non è solo un bar ma un luogo per promuovere la parità donna uomo, mi ha in un primo tempo sorpresa e spaventata. Avevo paura di non riuscire a vincere la timidezza, di essere stonata, che la mia voce e la mia “erre” potessero essere un ostacolo. Però mi piaceva l’idea di fare qualcosa per una causa importante come la questione della parità. E’ un tema che mi sta a cuore, del quale ho parlato molto con le mie amiche ma non ho mai fatto niente di concreto. Il ruolo di Esther a posteriori sembra sia stato fatto per me perché ho avuto una vita intensa e comunico volentieri con la gente.

Quando mi sono trovata sul set del Sigrid Undset Club, fra i drappeggi neri, tutti quei macchinari, fili, lampade, microfoni e tanta gente, mi sono chiesta come fosse possibile fare un film in quella confusione. Poi ho intuito che c’era una linea di forza, un filo conduttore, ho capito che chi stava realizzando il film aveva ben chiaro il senso del tutto.

Poi è stato bello vedere tutte quelle ragazze e ragazzi entusiasti e capaci che si davano da fare, che facevano con gusto, divertendosi. Mi hanno fatto sentire a mio agio nonostante la differenza di età.

Partecipare a questo lavoro mi ha fatto davvero piacere ed è stata un’esperienza positiva. Ho voglia di vedere il film finito. Non di vedere me, anzi, ma di vedere l’insieme di quello che è stato realizzato e al quale ho dato, anche se piccolissimo, il mio contributo. Isabella Monti-Joos